lunedì 26 febbraio 2018

Quello che rimane di Paula Fox



Desperate Characters è il titolo originale. Personaggi disperati. Viene non tanto da una frase di Thoreau, "quella frase sulla quieta disperazione della vita della maggior parte degli uomini", quanto dal vizio di citarla di continuo negli ambienti descritti dal libro. Un vizio che, si dice poche righe dopo, è "un primo esempio dell'amore che la classe media nutre per se stessa".

Forse tra i capostipiti della letteratura americana esistenzialista da salotto. Romanzo lodatissimo da Franzen, che di quella letteratura è l’ultimo epigono. Allo scarabookkiante di sicuro non piace Franzen , ma di solito neppure il genere: per la pretenziosità compassata delle voci narranti, per l’artificiosità delle situazioni e delle trame, per la convenzionalità e superficialità di personaggi e contenuti. Però un capostipite ha sempre una sua nobiltà che viene da originalità, freschezza, coraggio. E' così anche in questo caso. E poi la Fox mette su una struttura narrativa agile, che funziona abbastanza bene. Non il capolavoro che dice Franzen, a tratti è irritante, ma considerato il genere, un buon libro.

Un gatto randagio morde una signora della borghesia newyorkese anni 60 ed è come se tutto si ammalasse. La malattia coinvolge la coppia, il socio di studio di lui (avvocato), qualche amico/a, persino la gente che passa davanti alla finestra. Un po’ di suspense. Un po’ di buone descrizioni, forse un po’ troppo ammiccanti (del genere, “occhio, capisciammé, che sotto sotto ti sto a dà na perl’e significat’ ”). Una conclusione-non conclusione su cui si può parlare a lungo.

Racconta il malessere di un certo tipo di umanità a cui le cose tutto sommato sono andate bene mentre sperimenta quanto questo non basti per non essere disperati. Che si infelicita con l’ansia di perfezione, con la tendenza a considerare “gli altri” degli sfigati rancorosi di cui aver paura, con l’attenzione esasperata al modo in cui si appare, con la sensazione di non essere o di non avere mai abbastanza, con l'angoscia panica di "perdere tutto". Coppie in cui ci si silenzia reciprocamente, si soffocano le manifestazioni dei sentimenti, si evitano i conflitti aperti; poi, appena possono (o non ne possono più), tradiscono più per fare e farsi del male rimanendo acquattati, che per desiderio, passione o amore. 

I Desperate Characters della Fox hanno questo tipo di postura mentale: artefatta, apparentemente quieta e composta; da salotto appunto o da portico di città di provincia. Ce l'hanno persino quando si stanno guardando dentro, persino nei colloqui più intimi, quando ci si potrebbe provare a parlarsi “in un cerchio magico”, senza quella nebbia, senza quei mostri in testa. Poi basta che ti capiti una cosa strana, che ti morda un gatto per esempio e tutto sembra sgretolarsi.
"La vita era stata tenera per così tanto tempo, senza spigoli e soffice, e ora, ecco qui in tutta la sua superficiale banalità e nel suo orrore sommerso questo avvenimento idiota – provocato da lei stessa – questo poco dignitoso confronto con l’essere mortale".