sabato 16 dicembre 2017

La caduta dei Golden di Salman Rushdie



Romanzo potentissimo. Anche imperfetto e fragile, a voler essere severi: qualche sbavatura di trama, qualche approssimazione nella struttura, qualche pagina in cui si appesantisce o si esagera un po’ (in particolare quelle che raccontano della parte indiana della vicenda di Nero Golden o di alcuni personaggi, troppi caricati di effetti speciali ). Il tono no e lo stile neppure: quelli sono di gran pregio e il piacere della lettura è fuori discussione. La voce narrante che Rushdie scova in questo romanzo e armonica, accattivante e anche con echi nobili. Scott Fitzgerand per esempio (quello di Gatsby soprattutto), non a caso più volte citato. In generale sorprende la capacità con cui questo scrittore indiano si è imbevuto non solo di temi e stilemi americani, ma anche delle sue suggestioni letterarie e soprattutto cinematografiche (è anche un grande libro sul cinema migliore; sembra un’ossessione per Rushdie, il cinema). L’attacco poi è veramente magnifico.


Quel che allo scarabookkiante  pare importante è che il libro finisce col trarre beneficio persino dai suoi difetti. Perché la causa della sua fragilità e delle sue imperfezioni è anche un pregio e cioè la sua immediatezza, la sua freschezza. La cosa veramente notevole sta nel fatto che riesce stare sul presente riuscendo ad andare nella profondità. Spessissimo i libri che parlano del momento in cui viviamo, quello storico intendo, tendono ad essere schiacciati, a non avere prospettiva, a fotografare un pezzo della superficie della realtà. La partecipazione fa mancare la visione storica, lo sguardo lungo, l’analisi. Rushdie invece ha la capacità di andare a scovare o di intuire le radici della rabbia, della decadenza e della follia dell’occidente del benessere diffuso, della classe media, della democrazia.

Tra la fine del mandato di Obama e l’elezione del nuovo presidente, Rushdie racconta due tragedie frutto tutte e due della congiura di una serie di casualità oppure, se si preferisce, di due drammatici destini. Quello della famiglia Golden e quello degli Stati Uniti che forse, incredibilmente sta per scegliere di mettersi nelle mani di un uomo “completamente pazzo, in maniera certificabile”, un criminale da fumetto, un Joker (su YouTube esiste un canale sul Trump-Joker).

“A volte i cattivi prevalgono, e che cosa fa uno quando il mondo in cui credeva si trasforma in una luna di cartone, mentre un pianeta oscuro sorge e proclama “No, il mondo sono io”? Come si fa a vivere tra i connazionali senza sapere chi di loro rientra fra gli oltre sessanta milioni di elettori che hanno portato l’orrore al potere, o tra i novanta milioni che se ne sono lavati le mani, rimanendo a casa; come si fa, quando altri americani dicono che sapere le cose è da elitisti, e che loro odiano le élite, mentre tu non hai mai avuto altro che la tua mente e sei stato educato ad aver fede nella bellezza della conoscenza, non in quel senso assurdo secondo cui sapere è potere, bensì nel senso per cui sapere è bello, e a un certo punto tutto questo – l’istruzione, l’arte, la musica, il cinema – diventa motivo di disprezzo, e la creatura partorita dallo Spiritus Mundi si leva e avanza scompostamente verso Washington, DC, per venire alla luce.”

Sotto questa luna di cartone, col pianeta oscuro che sullo sfondo avanza nell’incredulità, si svolge la storia del crollo della famiglia di Nero Golden. Una storia coloratissima, movimentata, persino divertente nella sua tragicità, con personaggi scolpiti (anche troppo, appunto). La si può leggere come una avventurosa saga famigliare. Ma è un romanzo che ha in realtà molti piani di lettura sovrapposti, una gamma di temi selezionata con grandissima lucidità, perché sono quelli che stanno esattamente al centro e alla radice del momento che stiamo vivendo nel pezzo di mondo in cui anche noi siamo.
Forse il minimo comun denominatore sta nel concetto di confine, nella progressiva sparizione dei confini: tra il reale e il virtuale, tra il concreto e l’immaginario, tra il vero e il falso, tra il possibile e l’impossibile, tra la vita e la morte, tra il femminile il maschile. Lo sviluppo del tema dell’identità di genere e non solo è uno dei cardini del romanzo (“Identità era una parola d’ordine neofascista, ormai”).

In particolare, per quanto ci riguarda, aver descritto benissimo lo sganciamento culturale, psicologico e sociale dell’uomo del nuovo millennio dalla sua stessa identità e dal supporto della materia, dei corpi in carne e ossa, delle cose che si toccano come il tema chiave del nostro tempo e la spiegazione delle cose apparentemente folli che stanno accadendo è il merito principale di questo romanzo.

Poi, bisognerebbe aggiungere, molto marxianamente, che questa non è che la sovrastruttura del distacco progressivo del capitalismo dai suoi supporti fisici, cominciata con la rottura della parità aurea, passata attraverso la marginalizzazione della fabbrica e in pieno sviluppo con la finanziarizzazione e la informatizzazione nel processo economico di produzione del valore. Ma chiedere questo ad un romanzo americano, per quanto buono, sarebbe chiedere troppo.