lunedì 7 agosto 2017

Vita coniugale di David Vogel



Romanzo importante, di una tristezza contagiosa. Importante per la ricchezza di temi e la qualità della prosa. Tristissimo per l’atmosfera, la vicenda e lo sfondo in cui si svolge. Soprattutto per via del narratore-protagonista: un uomo debole, oppresso da una donna orribile e brutale, che gioca a mortificarlo e umiliarlo fino all’estremo.


Vogel ha un modo di raccontare sommesso, semplice, ma la sua prosa ha una forza di suggestione, che allo scarabookkiante è rimasta in parte abbastanza misteriosa. Ci si è chiesto più volte, mentre per pagine intere non succede altro che lo scorrere di una deprimente quotidianità, “ma perché non annoia questo libro?”. Si fluttua tra i pensieri ondeggianti di quest’uomo, si leggono dialoghi (molto ben scritti) spesso di una straniata ordinarietà, ci si incammina lentamente e per scosse in una vicenda umana sconcertante che ha un epilogo annunciato, ma comunque terribile, soprattutto per come matura (il finale è da girone infernale). Ogni tanto ti fa alzare gli occhi e ti descrive (con una sapienza espressiva benissimo dissimulata dietro la sobrietà, ma non per questo meno grande) una finestra di fronte, un pezzo di cielo, una strada, un paio di scarpe, un bar o un parco, la pioggia, la neve, un volto.

Il tutto in una Vienna spettralmente affascinante, che sembra racchiudere ed esprimere il mondo ostile visto dall’ebreo errante, dall'uomo cioè destinato nei secoli a vagabondare senza una sua vera patria, cacciato dalla propria casa e senza mai essere definitivamente accettato in casa altrui. Un uomo preda della prevaricazione e della violenza e nel contempo della propria paura. Il senso profondo di questo romanzo e della "vita coniugale" probabilmente sta tutto in questo sentimento di un popolo condannato dalla sua storia a convivere con chi era troppo più forte di lui. Da una parte c'è il bisogno di affermare la propria identità e dignità e dall’altra il disperato bisogno di integrazione, calore, accettazione. La sottomissione di Gordweil alla moglie "sadica" è da questo squilibro di forze e da questo retroterra culturale e psicologico che viene; ed è a quello che rimanda. Il sadismo sessuale c’entra poco e l’erotismo anche meno (il risvolto di Adelphi è completamente fuorviante).

Il romanzo è scritto non solo con grande pulizia di stile, ma anche con un'aria, un tono che sta a metà strada tra la poesia e il grido di  disperazione. E questo gli dà la sua malinconica bellezza e che ha tenuto lontana la noia (almeno quella dello scarabookkiante). Ci è venuto di pensare in certe pagine alle poesie di Gozzano; però, dentro la soffusa quotidiana malinconia-nostalgia delle piccole cose, il mondo di Vogel non porta  il segno della consolazione, ma della mortificazione, della catastrofe incombente. E c'è anche il vuoto di senso della vita, la percezione della arbitrarietà di tutto, a partire dalle pulsioni umane; che in questo romanzo sfuggono ad ogni possibilità di gestione razionale e consapevole.
Forse ha più ragione in fatto di assonanze il suo traduttore quando scrive in un bellissimo articolo critico, che Vogel è un autore dal pessimismo leopardiano. Anzi, non mi fermerei solo a questo. Gli impulsi e i guai che ne derivano al protagonista (a partire dal suo matrimonio) nascono da un tedio che è anch'esso leopardiano; e dal presupposto della vacuità e della vanità di tutto (per cui poca importa alla fine quel che succede e cosa si decide di fare).

Più volte Lotte, l’amica innamorata di lui che cerca di salvarlo pensa: “Ma è davvero così stupido, quel Gordweil, o finge soltanto di esserlo?”. Che è poi quello che ci chiediamo ancora oggi davanti alle file ordinate di deportati avviati in totale passività alle camere a gas pochi anni dopo. Anche i biografi di Vogel si sono posti su di lui esattamente la stessa domanda di Lotte. Il sospetto è che alla base delle sue scelte di vita apparentemente inspiegabili ci sia da una parte la percezione atavica di una debolezza e dall'altra la profonda, disperata percezione della mancanza di importanza e sostanza di ogni cosa e di ogni scelta. Fino appunto a far pensare qualcuno che Vogel non sia morto in un campo di concentramento, ma si sia in forma indiretta suicidato prima di arrivarci.
Di certo, in Gordweil, fino all’epilogo finale, c’é una resa totale, che lui stesso può accettare solo tentando di nascondersela dietro una maschera di illusioni, piccole compensazioni, false giustificazioni e grossolane finzioni. È inerme, come lo sarà il suo autore, insieme con tutto il suo popolo, davanti alla Storia.


A rendere ancor più grande e più triste questo romanzo è la sua stessa storia editoriale: fu trovato sepolto nel giardino di Vogel e pubblicato quarant'anni dopo la sua morte, senza che lui della sua grandezza abbia mai avuto coscienza.