lunedì 7 agosto 2017

Nemici, una storia d'amore di Isaac B. Singer




La trama è un groviglio di tre mogli che si stringe attorno al collo di un unico marito indeciso a tutto. Potrebbe essere una commedia degli equivoci alla Feydeau, se non fosse che il deus ex machina è un diavolo perverso e crudele. Poi, il parlare di amore e matrimonio nel mondo dell’ebraismo mittle-europeo, seppur trapiantato in America, specie subito dopo i campi di concentramento, è sempre un parlar d’altro in realtà. Come nel Vogel di Vita coniugale, è il dramma secolare dell'ebreo errante il vero tema.

Questo è il romanzo dell’amore ai tempi della post-shoah. Il suo interesse maggiore sta proprio nell’entrar dentro al mondo degli ebrei fuggiti in America durante e dopo l’età dei totalitarismi. È il romanzo dei sopravvissuti che hanno il campo di concentramento, i nazisti, il Male trapiantati nel cervello sotto forma di una ossessione inguaribile, un corpo estraneo inasportabile. E il corpo estraneo inibisce la possibilità di credere in qualsiasi cosa, di coltivare una speranza. Per compenso, davanti a lampi di felicità produce presentimenti di catastrofi e di fronte a lontani pericoli, paure paralizzanti; impone l’atteggiamento di all’erta e affina la propensione a scovare tecniche per difendersi, proteggersi, programmare vie di fuga, sopravvivere in qualche modo, quando i nazisti torneranno, come di sicuro accadrà. Embrioni di forme cicatriziali insomma da immediato post-trauma per lesioni che non smetteranno mai in qualche modo di suppurare. Sono nella fase in cui non essere morti come i padri, le mogli, i figli, i fratelli, gli amici è vissuta come una colpa e insieme come un’occasione mancata. “Eravamo usciti dalla Geenna, ma la Geenna ci ha seguiti fino in America. Hitler ci è corso dietro.”

Gente che, trauma compreso e trauma a parte, per non morire ha compiuto un triplo salto mortale carpiato di civiltà, cultura, lingua, abitudini, paesaggi urbani e sociali. E’ un’America nemica anche nel clima, nelle strade, nella facce. Un mondo in cui domina la fretta. Devono adattarsi e col il carico che si portano dentro, faticano, sbandano, soffrono (le pagine dei viaggi in metropolitana sono dei cammei neri).
Mentre tutto per loro è diventato indifferente. “Quale differenza poteva fare per me chi avrei sposato? Dopo tutto quello che avevo passato, quale importanza poteva avere?”
E sono ebrei, non scordiamolo. Hanno nella testa il dio vivente più invasivo, misterioso e impietoso di tutte le religioni inventate dagli uomini per rovinarsi la vita in cambio della promessa (destinata quella sì a restare eterna) di salvarli dalla morte. Un cambio iniquo per tutti; per loro il più penalizzante che ci sia sul mercato dell'aldilà. Un dio che li ha abbandonati in mano ai nazisti e che quindi potrebbe tornare ad abbandonarli in ogni istante che verrà. Se la loro mente vede una ragione in questo, la trova nella indegnità del sopravvissuto: “le era stato consentito di sopravvivere soltanto a causa dei suoi peccati. Le anime benedette, gli ebrei pii, Dio li aveva presi con sé.” E così il sopravvissuto per espiare continua a seguire i rituali imposti dalla religione senza più crederci; a invocare il suo Dio sapendo che tra il Dio che sta invocando e quello che ha permesso la Shoah c’è una differenza, uno scarto incolmabile, lo stesso che in ogni grande amore separa la realtà dal sogno: “Il vero Dio ci odia, ma noi abbiamo sognato un idolo che ci ama e ha fatto di noi il Suo popolo eletto”. Quello, continuano a pregare.

E qui arriviamo al tema dell’amore. Forse è paradossale, ma in questa devastazione l’unica energia che sopravvive e mantiene la capacità di produrre flussi di vitalità è la lussuria, la libidine dei corpi, il desiderio fisico, il bisogno di calore e accoglienza. Una forza che li fa sentire vivi e li trascina in relazioni complicate e immaginazioni perverse, che moltiplicano il desiderio. Lo scarabookkiante ha pensato anche a Roth che ha indagato così bene questa illusione di salvezza nella ubriacatura dei sensi. Di quella cosa lì si tratta. E come in Roth l’amore, l’innestarsi dei sentimenti su questa energia vitale, puramente libidica ha un effetto spiazzante prima e devastante poi. Il desiderio è una pulsione animale. Si può non controllarla, ma si capisce cos’è, da dove nasce. L’amore è una cosa misteriosa, che sfugge al controllo: “nessuno ne aveva scoperto il vero significato”. Quel che sanno è che l’amore ad un certo punto fa girare il motore del desiderio all’incontrario, verso il territorio del dolore, della gelosia, del possesso irraggiungibile. E accentua il senso di colpa per essere sopravvissuti, per continuare a provare sentimenti dopo lo sterminio, dopo un'offesa così intollerabile.

La conclusione del romanzo è l’avvitamento del groviglio in un vortice.
La scrittura è di quella dei Grandi Maestri. Una di quelle letture che si vorrebbe non finisse mai.